Caducazione di titolo esecutivo in pendenza

Studio Legale Manzini Sabatini • 3 settembre 2021
Caducazione di titolo esecutivo in pendenza di opposizione all’esecuzione – pronuncia di cessazione della materia del contendere e liquidazione spese per soccombenza virtuale – domanda risarcitoria da esecuzione imprudente – giudice competente
Corte Cass., Sezioni Unite civili, sent. 21.9.2021 n. 25478
Le Sezioni Unite civili della Suprema Corte hanno risolto un contrasto giurisprudenziale relativo al tema della caducazione del titolo esecutivo in pendenza di giudizio d’opposizione all’esecuzione, promossa sulla base dell’anzidetto titolo non definitivo. Il Supremo Collegio ha stabilito che, in questa circostanza, la sopravvenuta caducazione del titolo, per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione, determina che il giudizio d’opposizione all'esecuzione debba definirsi non con l'accoglimento dell'opposizione, bensì con una pronuncia di cessazione della materia del contendere ad opera del giudice dell’opposizione.
Spetta altresì a quest’ultimo il compito di regolare le spese processuali, secondo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai soli motivi originari di opposizione.
Ulteriore aspetto trattato dalle S.U. è quale sia il giudice competente a decidere sulla domanda di risarcimento dei danni provocati da un'esecuzione intrapresa in difetto della normale prudenza, in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo, successivamente caducato, e, quindi, quale sia la sede naturale per proporre tale domanda. Tre possibili scenari secondo le Sezioni Unite: a) la domanda risarcitoria da esecuzione imprudente va proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio in cui si è formato o deve divenire definitivo il titolo esecutivo, allorché quel giudizio sia ancora pendente e non vi siano preclusioni di natura processuale; b) in quest'ultimo caso, invece, la domanda va rivolta al giudice dell'opposizione all'esecuzione; c) in via residuale, solo laddove sussista un'ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto alla proposizione della domanda anche in sede di opposizione all'esecuzione, potrà esserne consentita la proposizione in un giudizio autonomo.
Autore: Studio Legale Manzini - Sabatini 27 giugno 2023
Risarcimento del danno da diffamazione tramite Twitter – rilevanza delle regole di continenza, correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse Cassazione civile, I° Sezione, Ord. 16.5.2023 n. 13411 Attenzione alla diffusione di giudizi ed opinioni tramite social network. Non si tratta di strumenti che sfuggono alle regole della continenza e correttezza formale, pur nel legittimo esercizio del diritto di critica. Occorre evitare l’errore di ritenersi coperti da un circuito comunicativo - quello dei social - per sua natura sintetico, assertivo e scarsamente argomentato. Il rischio è la condanna al risarcimento del danno da diffamazione, come occorso, in sede di merito, nel caso di specie. Nella formulazione di qualunque giudizio critico si possono utilizzare espressioni anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato rispetto all’opinione o al comportamento preso di mira, e non si risolvano, invece, in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Lo ha precisato la Sezione I° della Cassazione civile con l’ordinanza 13411/2023, negando l’assunto del ricorrente, secondo il quale, nell’attuale contesto sociale, l’espressione del diritto di critica mediante social network imporrebbe una valutazione dei messaggi meno rigorosa rispetto ai noti limiti. Anzi, secondo la S.C. il post di twitter (così come ogni post su piattaforme social) non si sottrae al necessario rispetto della continenza espressiva, e non può tradursi in una manifestazione di pensiero irresponsabile, soltanto perché veicolata tramite il mezzo prescelto.
Autore: Studio Legale Manzini Sabatini 28 febbraio 2023
Corte di Cassazione, sez. II, ord. 17 febbraio 2023 n. 5073 Trust – disponente ancora in vita – trasferimento proprietà beni al trustee – indicazione dei beneficiari eredi legittimi – trust “inter vivos” con effetti “post mortem” – qualificato come donazione indiretta ex art. 809 c.c. – legittimari – azione di riduzione La Cassazione ha avuto modo di analizzare l’istituzione di un trust, con cui il soggetto disponente ha conferito immobili e partecipazioni sociali, indicando alla sua morte, come beneficiari, i suoi discendenti. Come noto, l'attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione, avviene per atto del "trustee", cui il disponente trasferisce la proprietà. Nel caso di specie, l'avvenuta fuoriuscita del "trust fund" dal patrimonio del disponente, quando quest'ultimo era ancora in vita, esclude la natura "mortis causa" dell'operazione, nella quale l'evento morte rappresenta mero termine o condizione dell'attribuzione. Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ha identificato il negozio esaminato come "trust inter vivos" con effetti "post mortem", qualificandolo come donazione indiretta, appartenente alla categoria delle liberalità non donative, ai sensi dell'art. 809 c.c. Questo inquadramento del trust istituito dal disponente, comporta, secondo la Cassazione, un’ulteriore conseguenza civilistica: la tutela dei diritti successori dei legittimari, che si ritengano pregiudicati dal negozio di segregazione patrimoniale, è assicurata con l’esercizio dell’azione di riduzione ex art. 553 c.c., rimedio che determina la mera inefficacia dell’atto pregiudizievole, ma non anche la nullità, come peraltro ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità.
Autore: Studio Legale Manzini Sabatini 7 febbraio 2023
Attenzione al tema del demansionamento del dipendente. L’assegnazione a mansioni inferiori non è legittima se il datore di lavoro non prova che sia stata dettata da una riorganizzazione aziendale, volta ad incidere sulla posizione lavorativa ricoperta dal dipendente. Lo ha ricordato la Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 3131 del 2.2.2023, esaminando un ricorso di una Società datrice di lavoro, che aveva assegnato ad una dipendente il ruolo di operatrice di call center, dopo che la stessa aveva ricoperto per otto anni la funzione di team leader. L’Azienda non ha assolto l’onere probatorio a proprio carico; anzi, nei fatti è emersa una realtà differente, giacché dopo il demansionamento della donna, altri dipendenti erano stati assegnati alle mansioni di team leader. Questione giuridica importante, che lo Studio MS ha avuto modo di patrocinare anche di recente presso il locale Tribunale di Reggio Emilia, conseguendo sentenza positiva per il dipendente, che, come nel caso trattato dalla Cassazione, era stato addirittura licenziato per giustificato motivo oggettivo, in assenza di una prova, mai fornita dal datore, di una riorganizzazione aziendale che comportasse la soppressione del posto di lavoro.
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