La società fiduciaria non risponde delle obbligazioni tributarie del fiduciante.
Studio Legale Manzini Sabatini • 4 ottobre 2021

Società fiduciarie ex Legge 1966/1939 – attività di gestione statica – mandato senza rappresentanza – intestazione meramente formale – proprietà dei valori in capo al fiduciante – pactum fiduciae opponibile all’Agenzia delle Entrate.
Commissione tributaria regionale della Campania – sez. 15 - sent. n. 6506/2021 (ud. 28.6.2021) dep. il 9.9.2021
Lo Studio Manzini – Sabatini ha ottenuto un importante risultato e beneficio di una società fiduciaria, che svolge attività di amministrazione statica di valori mobiliari nell’interesse di fiducianti, ai sensi della Legge 1966/1939 e succ. integrazioni.
La società fiduciaria riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia Entrate di Napoli 1, afferente ad un debito tributario maturato in capo alla società (medio tempore cancellata dal Registro Imprese ed estinta) il cui capitale sociale era stato - per intero - fiduciariamente intestato da parte dell’ex amministratore unico, tramite contratto di mandato fiduciario intercorso con la società fiduciaria medesima.
Promosso ricorso nell’interesse di quest’ultima, la C.T.P. di Napoli lo accoglieva ed annullava l’accertamento con riferimento al merito fiscale del gravame.
Tuttavia, ancorché il motivo accolto fosse assorbente, non aderiva all’ampia argomentazione normativa, giurisprudenziale e dottrinale con cui lo Studio patrocinante metteva in evidenza l’assenza di legittimazione passiva in capo alla società fiduciaria per gli accertati debiti fiscali della società il cui capitale sociale era stato fiduciariamente intestato. In breve: il mandato fiduciario è un negozio di matrice germanistica, ragion per cui il pactum fiduciae genera un’interposizione fittizia – e non reale – di persona, con la conseguenza che la proprietà sostanziale dei beni fiduciariamente intestati rimane sempre e solo in capo al fiduciante, l’unico che deve rispondere dei debiti (anche tributari) connessi ai beni schermati.
L’Ufficio soccombente avanzava appello, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado con riferimento alla tematica tributaria, segnalando altresì la contraddittorietà della sentenza, che accoglieva il ricorso pur disattendendone il motivo preliminare, afferente al difetto di legittimazione passiva.
La società fiduciaria si costituiva in appello, chiedendo la conferma dell’accoglimento del motivo fiscale, avanzando, tuttavia, appello incidentale in ordine all’eccezione della mancanza di legittimazione passiva in capo alla fiduciaria, non accolta in prime cure. Tematica nodale e determinante per l’intero sistema delle società fiduciarie.
In sede di controdeduzioni all’appello incidentale, l’Ufficio appellante rilevava carenza d’interesse ad agire in capo alla società fiduciaria, giacché, a dire dell’Agenzia Entrate, un simil gravame non avrebbe apportato alcun beneficio concreto, attuale ed economicamente valutabile in capo alla società fiduciaria, se non una mera presa d’atto dell’accoglimento del ricorso introduttivo.
La società fiduciaria presentava memoria illustrativa ex art. 32 D. Lgs. 546/1992, rilevando l’infondatezza dell’eccezione di carenza d’interesse ad agire, sulla scorta anche di un recente arresto delle Sezioni Unite.
Intervenuta la discussione della causa all’udienza del 28.6.2021, i Giudici di secondo grado trattenevano in decisione.
La C.T.R. Campania, sez. 15, ha recentemente depositato la sentenza con la quale ha:
- respinto l’appello principiale dell’Agenzia Entrate di Napoli I, confermando la pronuncia della C.T.P. di Napoli;
- accolto l’appello incidentale della società fiduciaria.
L’accoglimento del gravame incidentale è rilevante, preliminarmente, sotto un profilo strettamente processuale, perché la C.T.R. Campania ritiene sussistente l’interesse ad agire della società fiduciaria, sulla scorta del principio recentemente consolidato dalle Sezioni Unite della Cassazione nell’arresto 12/05/2017, n. 11799: “l'interesse ad ottenere che in appello si ridiscuta dell'eccezione di merito ritenuta infondata, sarà del convenuto, che ha solo una soccombenza c.d. virtuale sull'eccezione, cioè una soccombenza che non ha inciso sull'esito finale della decisione che gli è favorevole … Qualora un'eccezione di merito sia stata respinta in primo grado … la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale”.
Con riferimento al merito dell’appello incidentale, la C.T.R. Campania, discostandosi dalla lettura fornita dalla C.T.P. di Napoli, ha aderito alle ampie argomentazioni apportate dalla società fiduciaria, riconoscendo il principio di opponibilità del pactum fiduciae - contenuto nel mandato fiduciario di gestione statica di valori - all’Agenzia delle Entrate. Trattasi d’intestazione meramente formale, in cui la proprietà sostanziale dei beni intestati alla fiduciaria rimane sempre e solo in capo al fiduciante, che impartisce istruzioni per l’amministrazione degli stessi e l’esercizio dei diritti a loro connessi. Con riferimento alle obbligazioni derivanti dalla proprietà dei beni intestati fiduciariamente, comprese quelle di natura tributaria verso l’Erario, è solo il fiduciante che deve farvi fronte, essendo la società fiduciaria solo intestataria formale.
L’accoglimento dell’appello incidentale coincide, in concreto, con l’erroneo coinvolgimento della società fiduciaria nell’avviso di accertamento originario, e, quindi, con la fondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva della stessa, che in primo grado era stata erroneamente disattesa.

Risarcimento del danno da diffamazione tramite Twitter – rilevanza delle regole di continenza, correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse Cassazione civile, I° Sezione, Ord. 16.5.2023 n. 13411 Attenzione alla diffusione di giudizi ed opinioni tramite social network. Non si tratta di strumenti che sfuggono alle regole della continenza e correttezza formale, pur nel legittimo esercizio del diritto di critica. Occorre evitare l’errore di ritenersi coperti da un circuito comunicativo - quello dei social - per sua natura sintetico, assertivo e scarsamente argomentato. Il rischio è la condanna al risarcimento del danno da diffamazione, come occorso, in sede di merito, nel caso di specie. Nella formulazione di qualunque giudizio critico si possono utilizzare espressioni anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato rispetto all’opinione o al comportamento preso di mira, e non si risolvano, invece, in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Lo ha precisato la Sezione I° della Cassazione civile con l’ordinanza 13411/2023, negando l’assunto del ricorrente, secondo il quale, nell’attuale contesto sociale, l’espressione del diritto di critica mediante social network imporrebbe una valutazione dei messaggi meno rigorosa rispetto ai noti limiti. Anzi, secondo la S.C. il post di twitter (così come ogni post su piattaforme social) non si sottrae al necessario rispetto della continenza espressiva, e non può tradursi in una manifestazione di pensiero irresponsabile, soltanto perché veicolata tramite il mezzo prescelto.

Corte di Cassazione, sez. II, ord. 17 febbraio 2023 n. 5073 Trust – disponente ancora in vita – trasferimento proprietà beni al trustee – indicazione dei beneficiari eredi legittimi – trust “inter vivos” con effetti “post mortem” – qualificato come donazione indiretta ex art. 809 c.c. – legittimari – azione di riduzione La Cassazione ha avuto modo di analizzare l’istituzione di un trust, con cui il soggetto disponente ha conferito immobili e partecipazioni sociali, indicando alla sua morte, come beneficiari, i suoi discendenti. Come noto, l'attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione, avviene per atto del "trustee", cui il disponente trasferisce la proprietà. Nel caso di specie, l'avvenuta fuoriuscita del "trust fund" dal patrimonio del disponente, quando quest'ultimo era ancora in vita, esclude la natura "mortis causa" dell'operazione, nella quale l'evento morte rappresenta mero termine o condizione dell'attribuzione. Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ha identificato il negozio esaminato come "trust inter vivos" con effetti "post mortem", qualificandolo come donazione indiretta, appartenente alla categoria delle liberalità non donative, ai sensi dell'art. 809 c.c. Questo inquadramento del trust istituito dal disponente, comporta, secondo la Cassazione, un’ulteriore conseguenza civilistica: la tutela dei diritti successori dei legittimari, che si ritengano pregiudicati dal negozio di segregazione patrimoniale, è assicurata con l’esercizio dell’azione di riduzione ex art. 553 c.c., rimedio che determina la mera inefficacia dell’atto pregiudizievole, ma non anche la nullità, come peraltro ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità.

Attenzione al tema del demansionamento del dipendente. L’assegnazione a mansioni inferiori non è legittima se il datore di lavoro non prova che sia stata dettata da una riorganizzazione aziendale, volta ad incidere sulla posizione lavorativa ricoperta dal dipendente. Lo ha ricordato la Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 3131 del 2.2.2023, esaminando un ricorso di una Società datrice di lavoro, che aveva assegnato ad una dipendente il ruolo di operatrice di call center, dopo che la stessa aveva ricoperto per otto anni la funzione di team leader. L’Azienda non ha assolto l’onere probatorio a proprio carico; anzi, nei fatti è emersa una realtà differente, giacché dopo il demansionamento della donna, altri dipendenti erano stati assegnati alle mansioni di team leader. Questione giuridica importante, che lo Studio MS ha avuto modo di patrocinare anche di recente presso il locale Tribunale di Reggio Emilia, conseguendo sentenza positiva per il dipendente, che, come nel caso trattato dalla Cassazione, era stato addirittura licenziato per giustificato motivo oggettivo, in assenza di una prova, mai fornita dal datore, di una riorganizzazione aziendale che comportasse la soppressione del posto di lavoro.