Separazione consensuale e divorzio congiunto – trasferimento immobili e diritti reali senza intervento del notaio

Studio Legale Manzini Sabatini • 3 agosto 2021
Separazione consensuale e divorzio congiunto – trasferimento immobili e diritti reali senza intervento del notaio – ammissibilità – verbale d’udienza – titolo per trascrizione ex art. 2657 c.c.
Corte Cass., Sezioni Unite civili, sent. 29.7.2021 n. 21761
Ripercorsi gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza contrastanti, le Sezioni Unite si sono espresse in adesione alla posizione aperturista in materia: è possibile per i coniugi, in sede di divorzio congiunto e/o di separazione consensuale, trasferire beni immobili senza l’intervento del notaio.
In particolare, le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio (che, rispetto alle pattuizioni relative alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa) ovvero dopo l’omologazione, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c
Autore: Studio Legale Manzini - Sabatini 27 giugno 2023
Risarcimento del danno da diffamazione tramite Twitter – rilevanza delle regole di continenza, correttezza formale dell’esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse Cassazione civile, I° Sezione, Ord. 16.5.2023 n. 13411 Attenzione alla diffusione di giudizi ed opinioni tramite social network. Non si tratta di strumenti che sfuggono alle regole della continenza e correttezza formale, pur nel legittimo esercizio del diritto di critica. Occorre evitare l’errore di ritenersi coperti da un circuito comunicativo - quello dei social - per sua natura sintetico, assertivo e scarsamente argomentato. Il rischio è la condanna al risarcimento del danno da diffamazione, come occorso, in sede di merito, nel caso di specie. Nella formulazione di qualunque giudizio critico si possono utilizzare espressioni anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato rispetto all’opinione o al comportamento preso di mira, e non si risolvano, invece, in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato. Lo ha precisato la Sezione I° della Cassazione civile con l’ordinanza 13411/2023, negando l’assunto del ricorrente, secondo il quale, nell’attuale contesto sociale, l’espressione del diritto di critica mediante social network imporrebbe una valutazione dei messaggi meno rigorosa rispetto ai noti limiti. Anzi, secondo la S.C. il post di twitter (così come ogni post su piattaforme social) non si sottrae al necessario rispetto della continenza espressiva, e non può tradursi in una manifestazione di pensiero irresponsabile, soltanto perché veicolata tramite il mezzo prescelto.
Autore: Studio Legale Manzini Sabatini 28 febbraio 2023
Corte di Cassazione, sez. II, ord. 17 febbraio 2023 n. 5073 Trust – disponente ancora in vita – trasferimento proprietà beni al trustee – indicazione dei beneficiari eredi legittimi – trust “inter vivos” con effetti “post mortem” – qualificato come donazione indiretta ex art. 809 c.c. – legittimari – azione di riduzione La Cassazione ha avuto modo di analizzare l’istituzione di un trust, con cui il soggetto disponente ha conferito immobili e partecipazioni sociali, indicando alla sua morte, come beneficiari, i suoi discendenti. Come noto, l'attribuzione ai beneficiari del patrimonio che ne costituisce la dotazione, avviene per atto del "trustee", cui il disponente trasferisce la proprietà. Nel caso di specie, l'avvenuta fuoriuscita del "trust fund" dal patrimonio del disponente, quando quest'ultimo era ancora in vita, esclude la natura "mortis causa" dell'operazione, nella quale l'evento morte rappresenta mero termine o condizione dell'attribuzione. Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ha identificato il negozio esaminato come "trust inter vivos" con effetti "post mortem", qualificandolo come donazione indiretta, appartenente alla categoria delle liberalità non donative, ai sensi dell'art. 809 c.c. Questo inquadramento del trust istituito dal disponente, comporta, secondo la Cassazione, un’ulteriore conseguenza civilistica: la tutela dei diritti successori dei legittimari, che si ritengano pregiudicati dal negozio di segregazione patrimoniale, è assicurata con l’esercizio dell’azione di riduzione ex art. 553 c.c., rimedio che determina la mera inefficacia dell’atto pregiudizievole, ma non anche la nullità, come peraltro ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità.
Autore: Studio Legale Manzini Sabatini 7 febbraio 2023
Attenzione al tema del demansionamento del dipendente. L’assegnazione a mansioni inferiori non è legittima se il datore di lavoro non prova che sia stata dettata da una riorganizzazione aziendale, volta ad incidere sulla posizione lavorativa ricoperta dal dipendente. Lo ha ricordato la Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 3131 del 2.2.2023, esaminando un ricorso di una Società datrice di lavoro, che aveva assegnato ad una dipendente il ruolo di operatrice di call center, dopo che la stessa aveva ricoperto per otto anni la funzione di team leader. L’Azienda non ha assolto l’onere probatorio a proprio carico; anzi, nei fatti è emersa una realtà differente, giacché dopo il demansionamento della donna, altri dipendenti erano stati assegnati alle mansioni di team leader. Questione giuridica importante, che lo Studio MS ha avuto modo di patrocinare anche di recente presso il locale Tribunale di Reggio Emilia, conseguendo sentenza positiva per il dipendente, che, come nel caso trattato dalla Cassazione, era stato addirittura licenziato per giustificato motivo oggettivo, in assenza di una prova, mai fornita dal datore, di una riorganizzazione aziendale che comportasse la soppressione del posto di lavoro.
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