


Con sentenza del 14.2.2022 n. 4696, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto un contrasto interpretativo tra giurisprudenza e dottrina, precisando che sia ben possibile richiedere il fallimento di una società, che si trovi nell’alveo di una procedura di concordato preventivo omologato, ancorché non sia già intervenuta la risoluzione del concordato anzidetto.
In sostanza, rilevano le Sezioni Unite che, seppur tra concordato preventivo e fallimento sussista un coordinamento, volto ad attribuire preminenza allo scopo preventivo ed alternativo del concordato, l'intervenuta omologazione, la chiusura della procedura concordataria e l'accesso del debitore alla fase esecutiva dell'accordo comportano comunque l'applicazione dei principi generali di responsabilità.
Per tale ragione, se dalla mancata esecuzione dell'accordo concordatario si possano trarre elementi d’insolvenza, la dichiarazione di fallimento potrà intervenire senza la necessaria preventiva risoluzione del concordato.
Questo il principio di diritto a cui le Sezioni Unite hanno vincolato il nuovo scrutinio della Corte d’Appello, destinataria del
rinvio: “Nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dal D. lvo n. 5/2006 e dal D. Lvo 169/2007, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del PM o sua propria, anche prima ed indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 l.fall.”.